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di Roberto
Bracco
Parte Quarta: La
Glossolalia per il credente e per la Chiesa
1. Introduzione
2. Chi parla
linguaggi "parla" a Dio, non agli uomini
3. Chi
parla linguaggi "prega" nello spirito
4. Chi parla
linguaggi "loda" Dio
5. La glossolalia
come "mezzo di edificazione" della
comunità
5a. Premessa
5b. Uso
della glossolalia per l'edificazione della
comunità
5c. Uso
concreto della "glossolalia" nelle
normali riunioni di culto
1. Introduzione
Il
dono delle lingue ha:
una finalità edificativa
per la chiesa,
uno scopo evangelistico per il non credente,
e anche una alta funzione nutritiva per il
cristiano che lo possiede e che, quindi, può
esercitarlo nellambito della propria vita
devozionale privata.
Per questo motivo Paolo rendeva grazie a
Dio per il possesso del prezioso carisma e per
questo stesso motivo credenti e ministri, nel
corso della storia cristiana, fino ai giorni
nostri, hanno reso testimonianza della gioia
realizzata nellesercizio della glossolalia.
|
"Parlare
in altre lingue"
mentre
tutta la vita si eleva, a mezzo delladorazione
e della preghiera, procura una dolcissima
sensazione che non rimane "fine a se
stessa", ma arricchisce interiormente la
personalità del credente.
LApostolo
Paolo espone didatticamente le ragioni profonde
che stabiliscono il rapporto "glossolalia
benedizione" ed
io desidero soffermarmi brevemente su queste
ragioni perché lesame, anche rapido,
permette di riconoscere il valore di questo dono
che molti cercano di squalificare.
2. Chi
parla linguaggi "parla" a Dio, non agli
uomini
«Chi parla in altra
lingua non parla agli uomini, ma a Dio
» (1ª Cor. 14:2)
Spero che
nessuno voglia mettere in dubbio la preziosità
del dialogo con Dio; parlare
a Dio
o parlare con Dio
vuol dire sempre raggiungere un livello che ci
distanzia dalle circostanze e dalle cose che
vogliono assorbirci e ci permette anche di
estraniarci alle nostre debolezze naturali; è il
bramato incontro col Padre nelle sfere celesti
che ci sono state schiuse in Cristo. |
Lesperienza
ricordata da Paolo non ha nulla in comune con la
preghiera meccanica, fredda, distaccata che può
essere esercitata sul binario di una liturgia
stereotipata e che non produce nessun effetto
spirituale nella personalità del credente.
Il
"glossolalo" che parla a Dio realizza
sensibilmente la presenza di Dio ed è saturato, si
può dire, tanto dallatmosfera di gloria che lo
circonda, quanto dalla potenza celeste che sgorga,
attraverso le sue labbra, dal suo cuore.
"Nessuno
lintende" ed
egli stesso non comprende il significato del suo
discorso, quindi la sua mente rimane estranea ed
infruttuosa, eppure egli proferisce misteri nello
Spirito.
Una
cosa è posta in evidenza: il
glossolalo esprime un "discorso"
celeste e questo
discorso è volto a Dio,
quindi stabilisce un rapporto
reale, concreto, intimo con il cielo
e tutto questo
non soltanto appare chiaro dalla dichiarazione di
Paolo, ma anche dallesperienza che il
credente realizza nellesercizio personale e
privato del dono.
La mente
rimane infruttuosa, ma la vita interiore
viene ugualmente benedetta e da questa
benedizione alla fine viene esaltata anche la
mente.
Ogni
incontro con Dio eleva e perfeziona
lesperienza del credente e quindi anche
lincontro al quale non partecipa la ragione,
si conclude con un processo edificativo che
investe l'intera personalità e, ovviamente,
illumina anche la mente.
|
Daltronde,
lesperienza ci insegna che, anche indipendentemente
dalla glossolalia, incontri
con Dio, nelle sfere celesti, ci conducono ad un
colloquio che non è di parole;
avvertiamo distintamente
lincapacità ad esprimere, con la nostra lingua,
col nostro vocabolario, certi sentimenti spirituali che
vorremmo tradurre in discorso
ed allora preferiamo parlare con i "palpiti del
cuore" e col "calore dellanima"
cioè col linguaggio del sentimento che non è linguaggio
razionale, o che non è sempre linguaggio razionale.
Parlare con la
stessa lingua dello Spirito, anche quando questa
è incomprensibile, vuol dire realizzare in un
modo più profondo quel rapporto che permette al
credente di aprirsi a Dio, elevarsi a Dio,
abbandonarsi a Dio; non sono le parole, gli
argomenti che edificano, ma il conseguimento di
una comunione che è nello stesso tempo "comunicazione"
e "mettere cose in comune" e quindi
rende lesperienza dolce e benefica. |
3. Chi
parla linguaggi "prega" nello spirito
La glossolalia, oltre ad
essere discorso generico, è anche "Orazione
nello Spirito"
(1ª Cor. 14:14)
LApostolo Paolo
afferma, nellEpistola ai Romani che «noi
non sappiamo pregare come si conviene
» (Rom. 8:26)
e perciò lo
Spirito "interviene" per noi con "sospiri
ineffabili".
I sospiri diventano
espressione, discorso e, questi sospiri, vogliamo
ricordare, procedono
dallo Spirito; non possiamo
quindi sorprenderci se lintervento
dello Spirito, invece di concludersi semplicemente
con i sospiri, si manifesti attraverso la glossolalia.
Chi
ha esperimentato il dono delle lingue, esercitato
in funzione di orazione, sa bene e può rendere
testimonianza che si sente veramente un "orante"
nella profonda consapevolezza che anche la sua
intercessione a Dio, per sé e per altri, è
preghiera efficace (Giac.5:16).
Non deve
sembrare strano che si possa pregare con
parole che, in quanto sconosciute ed
incomprensibili, escludono
la nostra mente dallintercessione;
la preghiera è
assolutamente esercizio di fede,
manifestazione d'amore
e tutti sappiamo molto bene che queste
virtù non nascono dalla mente
ed, anzi, qualche volta esistono e si
esprimono in opposizione ad ogni speculazione
razionale.
Noi non
sappiamo sempre che cosa dobbiamo chiedere,
ma sappiamo che dobbiamo
chiedere cose che siano accettevoli a Dio
e quindi qualche volta, nella comunione dello
Spirito Santo, offriamo
sullaltare fede ed amore
e il Consolatore aggiunge le
parole misteriose, come
langelo aggiunge profumi alle orazioni di
tutti i santi
(Apocalisse
8:3).
|
Giovanni, nel passo
ricordato, ci dice che il «fumo
dei profumi» salì dalla
mano dellangelo nel cospetto di Dio.
Anche
qui non
sono le parole,
le frasi ben
composte
che ascendono al cielo, ma
è il
profumo stesso,
che langelo ha sparso
generosamente sopra le orazioni.
Sembra
proprio che la Scrittura voglia ricordarci che
Dio gradisce lofferta provveduta da Lui e
che deve trovare soltanto vasi preparati per
riceverla e per renderla (1ª Cor. 29:14).
La nostra
partecipazione si deve realizzare nei limiti e nei modi
voluti dallo Spirito.
È
stato detto che lorazione in lingue è
qualche volta necessaria affinché preghiamo
per esigenze a noi sconosciute.
Noi non
possiamo pregare razionalmente quando Dio
stesso ci vuole usare come strumenti
dintercessione a favore di credenti,
ministri o missioni di cui forse
ignoriamo lesistenza.
Lipotesi è
molto interessante, ma andrebbe sviluppata nella
direzione di un approfondimento dellessenza
della preghiera e questo ci porterebbe troppo
lontano dal soggetto immediato di questo scritto.
La
stessa cosa si può dire a riguardo
dellipotesi espressa da un noto
revivalista inglese che affermava, forse
troppo categoricamente, che lo Spirito ci fa
pregare sovente in lingue per impedire al
diavolo di comprendere e, quindi, di
ostacolare le nostre richieste (Dan.10:12,13).
Le "lingue"
in questo caso diventerebbero una specie
di "codice" per neutralizzare
le azioni del nemico.
Non affronto i
due argomenti perché, come detto,
richiederebbero uno sviluppo ed una dilatazione
dellargomento fuori dello schema che mi
sono proposto, ma non posso non osservare che
luno e laltro suscitano perplessità
e quindi devono essere ricordati soltanto per
incoraggiare quanti sono interessati a
considerare il problema sotto tutti gli aspetti.
|
Fuori
dalle "ipotesi" rimane la realtà,
ampiamente esperimentata, di una vera, profonda
comunione con Dio realizzata e sempre realizzabile in
preghiera nellesercizio del dono delle lingue.
Quante
volte il credente nella propria vita devozionale,
inizia una conversazione con Dio o una preghiera
a Dio con le proprie parole e poi, penetrando
sempre più profondamente nello spirito
dellorazione, si
accorge che le parole si sono esaurite o sono
diventate inutili e vengono
sostituite dai sospiri ineffabili.
Dai
sospiri ineffabili alle "lingue"
il passaggio è facile e frequente ed il credente,
in tal caso, non si chiede qual è il significato
delle parole che sgorgano dalle sue labbra
perché "sente" che esse sono "sonorizzazione"
dei suoi più intimi sentimenti, sono la
preghiera del cuore.
4. Chi
parla linguaggi "loda" Dio
La glossolalia, discorso,
preghiera può essere ed è nellesperienza
spirituale: lode a Dio
(2ª Cor. 14:15,16)
Credo
che non sia difficile comprendere che per lodare Dio
non siano sempre necessarie parole intelligibili;
possiamo, per esempio, lodarLo con la musica, come la
natura Lo loda con il canto degli uccelli o con lo
stormire delle foglie.
Se questo è
vero, e nessuno può metterlo in dubbio, ne
consegue che, lodare Dio
per impulso dello Spirito Santo,
significa raggiungere un
livello certamente più elevato
di quello che si raggiunge accettando
semplicemente dei suggerimenti
liturgici o seguendo il
binario della nostra ragione,
o le note del pentagramma.
Sottolineare
in senso negativo che il "glossolalo"
non sa quali
espressioni di lode usi per magnificare
Dio,
significa avere
una concezione soltanto formale del culto
spirituale
che, specialmente quando è individuale, deve
essere esercitato per esprimere quanto di
più profondo, di più intimo si vuole
offrire a Dio.
|
Le parole, la
ragione, come ripetutamente detto, non sono sempre i
mezzi più idonei per raggiungere questo risultato che,
invece, può essere pienamente conseguito quando un
fenomeno carismatico, come quello della glossolalia,
sembra portare in superficie e far traboccare i tesori
più preziosi dellanima per poterli "spandere"
in offerta damore sullaltare della fede.
Lesperienza mi ha
insegnato che quelle parole oscure, quelle frasi
misteriose acquistano un significato non alla
mente, ma al cuore; esse interpretano fedelmente
quello stato interiore che si vuole esprimere,
gli danno un suono, una melodia. |
5. La
glossolalia come "mezzo di edificazione"
della comunità
5a. Premessa
Fin qui mi sono limitato
a scrivere relativamente allazione edificativa
della glossolalia nellesperienza personale e
privata del credente, ma non ho voluto, seguendo questo
schema, svuotare questo dono prezioso del suo valore
edificativo per la comunità.
Nel
catalogo carismatico che elenca i nove doni dati
dallo Spirito alla "chiesa", la "glossolalia"
entra a farne parte a pieno diritto e a parità di
valore e, se è vero che rappresenta
una benedizione nella vita privata
dellindividuo, è
altrettanto vero che può essere definita una
ricchezza per la comunità.
LApostolo
Paolo raccomanda di «non
ostacolare coloro che parlano in lingue»
(1ª Cor. 14:39);
ricorda che nelle riunioni di culto devono esserci
dottori, profeti e glossolali (1ª
Cor. 14:26).
Per quanto riguarda la disciplina cultuale esorta a «far
parlare due o tre profeti
»
e nella medesima maniera a far «parlare due o tre
glossolali
» (1ª Cor. 14:27-29)
Questi riferimenti
biblici sono estremamente chiari e fanno luce su una
pagina della storia del cristianesimo, quella che tratta
della vita carismatica nelletà apostolica.
Non è vero, come
affermano certi critici superficiali e frettolosi
che il miracolo delle lingue si è compiuto
eccezionalmente nel giorni della Pentecoste per
capovolgere gli effetti di Babilonia (Gen. 11:7;
Atti 2:8), anzi esso si è
inserito nella vita spirituale della chiesa come
componente integrale ed integrativa della vita
carismatica (1ª Cor. 12:10). |
Come ai giorni
apostolici, il dono delle lingue può e deve essere
disciplinatamente esercitato nella chiesa cristiana
odierna.
Per
"disciplina" dobbiamo intendere quella
sottomissione alla guida divina che si manifesta
nellordine e nellequilibrio di una sana e
veramente edificativa vita carismatica.
Il
primo principio di ordine nelluso
del dono delle lingue è
di carattere quantitativo:
"parlino due o tre al più";
il secondo di carattere
cronologico:
"uno dopo laltro"
ed
il terzo di carattere integrativo:
"
ed uno
interpreti".
Queste
norme non hanno bisogno di molte spiegazioni:
la glossolalia non deve
monopolizzare la riunione di culto, ma deve essere
soltanto una parte proporzionata di questo.
Specialmente
per i credenti di Corinto che si erano quasi
totalmente donati alluso
spettacolare e disordinato di questo carisma,
il richiamo allordine rappresentava
lesortazione a considerare
e risolvere il problema entro le linee di una vita
spirituale armonica e benefica.
Forse
il medesimo richiamo è valido oggi per certi
movimenti carismatici che fanno della glossolalia
lunico elemento despressione nelle loro
riunioni di culto.
È
comprensibile come ai nostri giorni il dono delle
lingue possa esercitare unattrazione come
la esercitava nella chiesa di Corinto, e
rappresentare un mezzo per far esplodere le
emozioni dei credenti; ma, ovviamente, come ieri
Paolo così oggi, per la medesima parola, dobbiamo
dichiarare esplicitamente che tutto ciò è fuori
ed in conflitto con lordine stabilito da
Dio.
Il messaggio in lingue
deve essere chiaro nella dizione
ed espresso in unatmosfera di
riverenza e di
attenzione assoluta.
«Uno
dopo laltro»
esclude che si possano dare due messaggi
contemporaneamente od un messaggio che si confonda e
si perda in mezzo al parlare di tutti.
Il
controllo delle proprie emozioni
dovrebbe essere un principio generale e costante
ed almeno dovrebbe avere una rigida attuazione
nel momento che un carisma si manifesta in una
riunione di culto; il "messaggio"
non deve essere soffocato, disturbato o anche
soltanto mescolato a voci e rumori che potrebbero
turbare quellequilibrio spirituale che è
indispensabile per la realizzazione degli effetti
della vita carismatica, che è e
deve essere sempre vita di edificazione reciproca,
quindi benedizione collettiva.
Lattività
del "glossolalo" deve essere, sempre, e
anche questo è un principio di ordine, sincronizzata
con quella dell"interprete"
e quindi, se
linterprete manca, deve essere sospesa,
sia pure in attesa che sia suscitata dallo
Spirito lindispensabile attività
complementare. |
Ovviamente il
credente e la comunità possono chiedere a Dio la
manifestazione del dono necessario, cioè quello
dellinterpretazione (1ª Cor. 14:13).
5b. Uso
della glossolalia per l'edificazione della
comunità
Superati
questi aspetti formali del soggetto, posso entrare
nel merito della questione: la glossolalia come mezzo
di edificazione della comunità
(1 Cor. 14:5).
Il
parallelo stabilito da Paolo: «
a
meno che egli interpreti perché la chiesa ne
riceva edificazione
» autorizza
una logica conclusione e cioè che l'interpretazione
esprime un messaggio che può essere assomigliato
alla "glossolalia" integrata dalla
profezia e come la profezia può svolgere una
funzione didattica.
Quando esprime un messaggio
che sindirizza agli
inconvertiti, sempre
che sia seguito dallinterpretazione (1ª
Cor. 14:23), si
trasforma,
oltre che per il suo contenuto sostanziale anche
per il suo aspetto formale, in
un segno chiaro, evidente della soprannaturalità (1ª
Cor. 14:22) del
servizio cristiano;
quando invece vuole essere ammaestramento
alla chiesa, può "anche"
essere, come sembra dirci Paolo, lode,
ringraziamento, preghiera, e
non soltanto queste. |
Il messaggio in
lingue "non è"
un sermone come non lo è neanche la profezia.
In una riunione di culto possono esserci due o tre
"messaggi" con relativa interpretazione,
due o tre profezie; se ognuno di questi messaggi
fosse un sermone non basterebbe il tempo per
predicarli tutti o non ci sarebbe spazio per
lesercizio di tutti gli altri doni e
particolarmente per "rivelazione" "scienza"
"dottrina" (1ª
Cor. 14:6) oppure:
"insegnamento" "esortazione" (Romani
12:7,8).
Il
profeta deve esercitare il proprio carisma in
proporzione alla propria fede (Romani
12:6) e la stessa cosa si
può dire del glossolalo, ma in ambedue i casi questo
limite non può, non deve giungere
allusurpazione del tempo che deve rimanere a
disposizione del ministero del pastore, del dottore o
di coloro che possono esortare o manifestare un altro
qualsiasi dono spirituale.
Quindi, o che
sindirizzi agli inconvertiti, o che parli
ai credenti, il messaggio in lingue deve essere
espresso entro i limiti di un discorso conciso,
rapido, puntualizzato probabilmente sopra un solo
pensiero. |
Mi rendo perfettamente
conto che queste conclusioni esegetiche sono più il
risultato di un metodo deduttivo che non di
interpretazioni bibliche, ma voglio precisare che esse si
valgono, entro certi limiti, delle esperienze personali
realizzate nellambito del movimento pentecostale
che può essere considerato, secondo la definizione di un
emerito studioso di storia del cristianesimo, quel
giovane movimento evangelico che ha saputo in questo
secolo far rivivere nel proprio seno i carismi dello
Spirito.
«Parlino due o tre
ed uno dopo laltro
».
Torno sullinciso di Paolo per far osservare
unaltra volta la relazione ed il parallelo che
egli stabilisce con la profezia che deve essere
esercitata per edificare, esortare, consolare (1ª Cor. 14:3)
e deve essere esercitata da tutti, affinché tutti
imparino e tutti siano consolati (1ª Cor. 14:31).
La glossolalia "da sola"
deve cedere il passo alla profezia, ma quando è
esercitata ordinatamente assieme
allinterprete, spoglia ogni aspetto di
subordinazione e raggiunge, almeno così mi
sembra, la stessa funzione e gli stessi risultati
della profezia; anzi, tenendo presente che
sempre esiste ed esisterà nella chiesa una
carica di emotività religiosa, la glossolalia
per il suo particolare aspetto può talvolta
suscitare reazioni positive ed ottenere adesioni
ancora più profonde di quelle raccolte dalla
profezia. |
Ma
perché non parlare direttamente in un linguaggio
intelligibile?
A
questa domanda posta da critici irriducibili si
può rispondere semplicemente che lo
"Spirito" opera come vuole e non
possiamo mai discutere o contestare la sovranità
di Dio i cui metodi riflettono sempre la Sua
assoluta sapienza, il Suo perfetto equilibrio,
anche quando ci lasciano perplessi.
5c. Uso
concreto della "glossolalia" nelle
normali riunioni di culto
Invece
di tentare una risposta ad una domanda che appare se
non sacrilega almeno irriverente, voglio fermarmi a
considerare alcune
manifestazioni della "glossolalia" nel
contesto delle normali riunioni di culto;
manifestazioni che suscitano spesso una serie di
interrogativi ai quali non pretendo dare una risposta
definitiva, ma che desidero prendere in
considerazione, almeno per iniziare quello che in
seguito potrà essere un dialogo.
Gli
scarni insegnamenti della Scrittura non
affrontano in modo diretto ed esauriente il
fenomeno carismatico nella molteplicità delle
sue manifestazioni, ma lesperienza pone
tutti, ma specialmente coloro che hanno
possibilità di spaziare oltre i confini di una
singola comunità, davanti a caratteristiche
così varie e così diverse da non poter fare a
meno di cercare spiegazioni che chiariscano e
concilino la mutevole manifestazione del dono
delle lingue.
Possiamo
forse attribuire la laconicità della Parola di
Dio proprio al proposito di suggerire
linterpretazione della vita carismatica
della chiesa non entro schemi ristretti e
repressivi, ma entro i confini spaziosi della
libertà dello Spirito.
Ma veniamo ai casi
pratici:
1.
Frequentemente il messaggio in lingue è un
discorso caldo, sonoro, di pochi minuti che viene
seguito a breve distanza di tempo
dallinterpretazione espressa da un credente
diverso, qualche volta invece
linterpretazione del messaggio viene data
dallo stesso glossolalo, quasi a continuazione
del discorso in lingue.
2.
Non è raro il caso, inoltre, che ad un messaggio
di una determinata lunghezza faccia riscontro il
discorso interpretativo di lunghezza notevolmente
più breve o notevolmente più lunga.
3. Qualche
volta fra il glossolalo e linterprete si
stabilisce una specie di dialogo ed il messaggio
in lingue viene espresso ed interpretato frase
per frase.
4.
Ma quello che suscita maggiormente perplessità
nelle comunità è lassenza
dellinterprete, quando invece è presente
ed attivo il glossolalo; si ode un discorso in
lingue, nitido, conclusivo, ma lattesa non
viene interrotta da quella che dovrebbe essere la
voce dellinterprete.
Potrei anche continuare perché
la casistica si presenta particolarmente ricca, ma
fermiamoci a considerare le manifestazioni ricordate e
che sono, daltronde, le più frequenti nelle chiese
pentecostali dei nostri giorni.
1.
Non cè molto da dire sul primo caso perché si
presenta sotto il profilo del più classico ed
ortodosso esercizio del carisma:
il glossolalo esprime il proprio messaggio ed un
altro lo segue dandone linterpretazione in
lingua intelligibile; anche linterpretazione
resa dallo stesso glossolalo può essere considerata
perfettamente biblica alla luce delle parole di Paolo
in 1ª Cor.14:5.
Ho già
risposto al quesito: «Può
il glossolalo dare personalmente
linterpretazione? », ma
ripeto: «Lesercizio
carismatico in perfetto equilibrio prevede un
interprete diverso dal glossolalo
(1ª Cor.14:27),
ma la Scrittura non esclude il possesso e
luso contemporaneo dei due doni (1ª
Cor.14:5, 13); quando
esiste questa condizione, il messaggio in lingue
può essere espresso in piena libertà da chi
sente di essere anche interprete».
2.
Sul secondo caso, invece, si possono dire molte cose
che si muovono entro i limiti dellesperienza,
delle congetture e dei confronti biblici.
Prima
di tutto si può ricordare che le capacità
espressive di una lingua non possono mai essere
misurate col metro di altra lingua; "anche"
fra lingue umane quello che può essere detto con
poche altre parole o addirittura con una concisa
"espressione idiomatica" in una lingua,
ha bisogno, probabilmente, di un lungo discorso
in altra lingua, Daniele
5:25-28 è
un esempio biblico di questa affermazione.
Inoltre
bisogna ricordare che linterprete non è un
"traduttore" ma semplicemente uno
strumento che deve esprimere ed applicare un
messaggio la cui sostanza può essere concentrata
in un discorso di lunghezza variabile.
Non si può escludere a priori
che possa anche esserci il caso di assoluta mancanza di
relazione fra le due cose perché una od
ambedue, fuori della guida dello Spirito.
Il discernimento spirituale, la diligenza
di colui che presiede dovrebbe in questi casi riportare
lordine nellesercizio dei doni.
Ma un emerito studioso della materia, il
defunto Donald Geè, ha prospettato anche unaltra
ipotesi e cioè che il
discorso intelligibile di lunghezza notevolmente diversa
dal messaggio in lingue possa essere non
linterpretazione di questo, ma lesercizio del
dono della profezia e in questo caso la glossolalia
avrebbe avuto soltanto la funzione di "eccitare"
lo spirito del profeta.
Questa ipotesi, come qualsiasi
ipotesi, potrebbe essere posta in discussione se non
altro per il fatto che sembra conferire alla glossolalia
una funzione che la qualificherebbe e quindi ne
autorizzerebbe lesercizio anche in assenza
dellinterprete.
Ma
come si può sapere in anticipo, si chiedono molti,
se nelle comunità è sempre presente un interprete?
Questa
domanda apre la prospettiva ad un aspetto particolare del
problema, cioè quello del
possesso e dellesercizio dei doni.
Se
accettiamo il principio che i doni dello Spirito
vengono ricevuti e quindi possono essere esercitati
in forma "permanente", la soluzione del
problema è estremamente semplice: la
comunità "può conoscere" quali doni e a
quali credenti sono stati largiti dallo Spirito e
quindi può vivere la propria vita carismatica in
rapporto alle risorse spirituali esistenti nella
chiesa e in un certo senso inventariate dalla chiesa.
Non
mancano versi dellepistola ai Corinzi che sembrano
sostenere questa tesi e credo che sia onesto ricordarli:
«
Quando voi vi
radunate, avendo ciascuno di voi, chi salmo, chi dottrina,
chi linguaggio, chi rivelazione, chi
interpretazione
»
(1ª Cor.14:26).
«Tutti hanno il dono
delle potenti operazioni? Tutti i doni delle guarigioni?
Parlano tutti diverse lingue? Sono tutti interpreti?
» (1ª Cor.12:30).
Di
fronte a questi passi però ce ne sono altri che
sembrano affermare la stessa tesi, generalmente
accettata nel seno delle comunità pentecostali, dellestemporaneità
nellesercizio del "dono".
Secondo
questa tesi, "tutti"
nelle riunioni comunitarie possono esperimentare "tutti"
i doni e cioè essere di volta in volta
glossolalo, profeta, interprete
In
"potenza" ogni credente battezzato
nello Spirito possiede tutti i doni, ma nelle
riunioni di culto "ognuno" è
sospinto dallo Spirito in armonia con un
programma che può variare di volta in volta
nella disposizione delle manifestazioni e
nelle persone guidate ad esercitare i doni.
Questa tesi
naturalmente compie una distinzione fra il "ministerio"
che è
sempre qualificazione a carattere permanente:
apostolo, profeta, evangelista, pastore, dottore, e
il "dono"
che è invece qualificazione
a carattere transitorio,
per quanto riguarda lattività carismatica
della comunità.
Alcuni
passi vengono citati per confortare la tesi di un
processo di avvicendamento nellesercizio dei doni
sono:
«Appetite
come a gara i doni migliori»
(1ª Cor.12:31)
«
appetite
come a gara i doni spirituali, ma principalmente che
voi profetizziate» (1ª
Cor.14:1)
«Così
ancor voi poiché siete desiderosi di doni spirituali
cercate di abbondare, per ledificazione della
chiesa» (1ª
Cor.14:2)
«Se
dunque, quando tutta la chiesa è radunata "tutti"
parlano linguaggi
»
(1ª Cor.14:23)
«Poiché
"tutti", ad uno ad uno, possiate
profetizzare
»
(1ª Cor.14:31).
Come
già detto, questi ed altri passi sembrano affermare
lestemporaneità del culto cristiano e non soltanto
in relazione ai fenomeni spirituali, ma anche alle
persone.
I credenti dovrebbero
unirsi senza uno schema liturgico prestabilito,
ma con una completa disponibilità tanto
collettiva, quanto personale allazione
dello Spirito e quindi dovrebbero essere pronti
per essere mossi ed usati da Dio nel modo voluto
da Lui.
In questo caso il possesso e luso del dono
è strettamente collegato alla riunione e colui
che in una assemblea esprime un messaggio in
lingue, può in altra assemblea essere interprete
o profeta; tutti possono essere di volta in volta
strumenti con caratteristiche diverse. |
Spero di essere
abbastanza chiaro da far comprendere ai miei lettori che
non cerco di dogmatizzare, ma di delineare onestamente il
problema nei suoi due aspetti principali lasciando ad
ognuno di approfondire e tentare la via della soluzione
del problema stesso.
Tornando
al soggetto lasciato in sospeso, possiamo chiederci:
Se
i doni si manifestano in maniera varia in ogni
singola riunione e se ogni credente può, usato dallo
Spirito, esercitare di volta in volta doni diversi, come
si può sapere se si manifesterà il dono
dellinterpretazione e come
farà quindi il glossolalo a regolarsi se esercitare
o non esercitare il proprio dono?
La
risposta che viene data più comunemente è
questa: se dopo un
messaggio in lingue non segue
linterpretazione, non devono essere dati
altri messaggi per la manifesta assenza
dellinterprete.
Ma
anche questa dichiarazione ha i suoi lati discutibili
perché sembra ignorare le ipotesi di un "messaggio"
che non è stato seguito da interpretazione semplicemente
perché non procedeva dallo Spirito,
oppure di una
"interpretazione" che non è stata data per
carenza di fede e quindi di franchezza da parte
dellinterprete.
Ma forse una risposta più
precisa e più convincente ci viene da unaltra
ipotesi che è questa:
È
vero che i "doni" dello Spirito possono
essere esercitati da tutti, è vero quindi che
nella chiesa può esistere varietà e
avvicendamento, ma è almeno probabile che questa
varietà possa verificarsi non in relazione ad
ogni singola riunione, ma in rapporto a "periodi"
più o meno lunghi di tempo.
Il glossolalo potrà
anche essere interprete, profeta o taumaturgo, ma
conserverà almeno per un periodo una sua precisa
fisionomia carismatica e quindi presentarsi alla
chiesa con una chiara personalità che consenta
anticipatamente di conoscere quali sono le
risorse spirituali della comunità, ma in tal
caso la varietà si armonizza con la libertà e
la volontà dello Spirito, ma non è strettamente
collegata con ogni singola riunione, e se questa
si svolge, ogni volta, senza uno schema liturgico
anticipatamente programmato, ha però una precisa
risorsa di doni già conosciuti (1ª Cor.14:26). |
Se questa ipotesi è
ugualmente discutibile è però in misura notevole
confermata dallesperienza comunitaria; credo che
tutti abbiamo notato che "dono delle lingue" o
"profezia" o altri doni vengono generalmente
esercitati da quei fedeli che ripetutamente manifestano
lo specifico carisma, almeno fino a tanto che non si
compie un processo di avvicendamento col sorgere di altri
profeti, glossolali, interpreti.
3.
Laltro quesito: «Può il messaggio essere
espresso in periodi intercalati
dallinterpretazione e quindi sembrare più in
dialogo che un discorso?
Devo confessare che non riesco a
trovare nella Scrittura una risposta esplicita a questa
domanda che daltronde si riferisce a casi
infrequenti e che rappresentano perciò rarissime
eccezioni. Oso dire che questa eventualità può essere
accettata come viene accettata "ogni" eccezione
e naturalmente va vagliata come si deve "vagliare"
ogni manifestazione spirituale (1ª
Cor.14:29).
Ritorna
quindi largomento relativo
allesigenza del "discernimento" e
della più illuminata diligenza della presidenza (Rom.12:8),
dellortodossia di certi principi
fondamentali (1ª Cor.12:3) e
soprattutto di una completa sensibilità di
spirito dellintera comunità.
Il
"messaggio" autentico al pari della
corrispondente interpretazione, deve essere
riconosciuto dallassemblea non soltanto per
la biblicità o per lortodossia del
discorso, ma anche per linequivocabile
essenza spirituale.
4.
Come si spiega un discorso in lingue, nitido,
conclusivo, senza poi sentire la voce
dellinterprete?
O
esortazione, o riprensione, o incoraggiamento, o
appello, il messaggio deve avere in se stesso una
potenza capace di raggiungere i cuori e
riscaldarli o metterli in crisi.
In
parole più semplici e più pratiche,
lesercizio della glossolalia deve avere
sempre un risultato edificativo e non
semplicemente un fine emozionale che è quanto di
più epidermico possa essere realizzato nella
chiesa.
La
conclusione ormai è stata anticipata: il
dono delle lingue è prezioso sia nella vita privata
del credente, sia nella vita comunitaria dove può
essere utile tanto per ledificazione del popolo
di Dio, quanto per levangelizzazione degli
inconvertiti.
È superfluo ripetere
che questo prezioso dono non deve essere
esercitato in maniera incontrollata per
soddisfare esigenze emotive, ma ordinatamente,
nella guida dello Spirito che nella radunanza lo
vuole collegato con il dono
dellinterpretazione e nel contesto di tutti
gli altri doni spirituali, perché fare della
"glossolalia" lesclusiva
manifestazione della vita carismatica della
chiesa significa non soltanto fare del
denominazionalismo puerile, ma anche privarsi
delle ricchissime risorse dello Spirito Santo. |
Collegamento
allo studio originale sul sito dal sito della Chiesa di Roma alla
pagina interna raggiungibile al link seguente |
RIASSUMENDO:
1. Il dono delle lingue ha:
- una finalità
edificativa per la chiesa,
- uno scopo evangelistico per il non credente,
- e anche una alta funzione nutritiva per il
cristiano che lo possiede e che, quindi, può
esercitarlo nellambito della propria vita
devozionale privata.
"Parlare in altre lingue" mentre tutta
la vita si eleva, a mezzo delladorazione e
della preghiera, procura una dolcissima
sensazione che non rimane "fine a se
stessa", ma arricchisce interiormente
la personalità del credente.
2.
Chi parla linguaggi "parla" a Dio,
non agli uomini
Parlare a
Dio o parlare con Dio vuol dire sempre
raggiungere un livello che ci distanzia dalle
circostanze e dalle cose che vogliono assorbirci
.
Il "glossolalo"
che parla a Dio realizza sensibilmente la
presenza di Dio ed è saturato tanto
dallatmosfera di gloria che lo circonda,
quanto dalla potenza celeste che sgorga,
attraverso le sue labbra, dal suo cuore.
"Nessuno lintende" ed egli stesso
non comprende il significato del suo discorso,
quindi la sua mente rimane estranea ed
infruttuosa, eppure egli proferisce misteri nello
Spirito.
3.
Chi parla linguaggi "prega" nello
spirito
LApostolo
Paolo afferma, nellEpistola ai Romani che
«noi non sappiamo pregare come si
conviene
» (Rom. 8:26) e perciò lo
Spirito "interviene" per noi con "sospiri
ineffabili".
I sospiri diventano espressione, discorso, e
questi sospiri procedono dallo Spirito.
In Apocalisse 8:3 Giovanni ci dice che il «fumo
dei profumi» salì dalla mano dellangelo
nel cospetto di Dio. Anche qui non sono le
parole, le frasi ben composte che ascendono
al cielo, ma è il profumo stesso, che
langelo ha sparso generosamente sopra le
orazioni
4.
Chi parla linguaggi "loda" Dio
Credo
che non sia difficile comprendere che per lodare
Dio non siano sempre necessarie parole
intelligibili; possiamo lodarLo con la musica,
come la natura Lo loda con il canto degli uccelli
o con lo stormire delle foglie.
Se questo è vero, e nessuno può metterlo in
dubbio, ne consegue che, lodare Dio per
impulso dello Spirito Santo, significa
raggiungere un livello certamente più elevato
di quello che si raggiunge accettando
semplicemente dei suggerimenti liturgici o
seguendo il binario della nostra ragione,
o le note del pentagramma.
5.
La glossolalia come "mezzo di
edificazione" della comunità
La
glossololalia, oltre che essere edificante
nellesperienza personale e privata del
credente, ha un suo valore edificativo per la
comunità. Ma, come ai giorni apostolici, il dono
delle lingue può e deve essere disciplinatamente
esercitato nella chiesa cristiana odierna.
La glossolalia non deve monopolizzare la riunione
di culto, ma deve essere soltanto una parte
proporzionata di questo.
Il messaggio in lingue deve essere chiaro nella
dizione ed espresso in unatmosfera di
riverenza e di attenzione assoluta.
«Uno dopo
laltro» esclude che si possano dare due
messaggi contemporaneamente od un messaggio che
si confonda e si perda in mezzo al parlare di
tutti.
Ovviamente il credente e la comunità possono
chiedere a Dio la manifestazione del dono
necessario, cioè quello
dellinterpretazione (1 Cor. 14:13).
5b.
Uso della glossolalia per l'edificazione
della comunità
Quando esprime un
messaggio che sindirizza agli inconvertiti,
sempre che sia seguito dallinterpretazione,
si trasforma in un segno chiaro, evidente della
soprannaturalità del servizio cristiano; quando
invece vuole essere ammaestramento alla chiesa,
può "anche" essere, lode,
ringraziamento, preghiera, e non soltanto queste.
Il
messaggio in lingue "non è" un sermone
come non lo è neanche la profezia.
Sia il profeta che il
glossolalo non devono giungere
allusurpazione del tempo che deve rimanere
a disposizione del ministero del pastore, del
dottore o di coloro che possono esortare o
manifestare un altro qualsiasi dono spirituale.
La glossolalia
"da sola" deve cedere il passo alla
profezia, ma quando è esercitata ordinatamente
assieme allinterprete, spoglia ogni aspetto
di subordinazione.
5c.
Uso concreto della "glossolalia"
nelle normali riunioni di culto
1.
Frequentemente il messaggio in lingue è un
discorso caldo, sonoro, di pochi minuti che viene
seguito a breve distanza di tempo
dallinterpretazione espressa da un credente
diverso, qualche volta invece
linterpretazione del messaggio viene data
dallo stesso glossolalo, quasi a continuazione
del discorso in lingue.
2. Non è raro il caso, inoltre, che ad un
messaggio di una determinata lunghezza faccia
riscontro il discorso interpretativo di lunghezza
notevolmente più breve o notevolmente più lunga.
3. Qualche volta fra il glossolalo e
linterprete si stabilisce una specie di
dialogo ed il messaggio in lingue viene espresso
ed interpretato frase per frase.
4. Ma quello che suscita maggiormente
perplessità nelle comunità è lassenza
dellinterprete, quando invece è presente
ed attivo il glossolalo; si ode un discorso in
lingue, nitido, conclusivo, ma lattesa non
viene interrotta da quella che dovrebbe essere la
voce dellinterprete.
O esortazione, o riprensione, o incoraggiamento,
o appello, il messaggio deve avere in se stesso
una potenza capace di raggiungere i cuori e
riscaldarli o metterli in crisi.
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